DARK ROOM MAGAZINE ~ Italian Review

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JAGGERY ~ “Private Violence”

(Autoproduzione)

Rating : 8

Due anni fa scoprivamo con voi lettori una misconosciuta ma grande realtà musicale d’oltreoceano, segnatamente da Boston: un quintetto di nome Jaggery dalla curiosa formazione (piano/voce, arpa, viola, contrabbasso e batteria), all’epoca già autore di un album e di un EP, guidato dalla figura carismatica della cantante e pianista Mali Sastri. “Upon A Penumbra”, secondo album del combo, ci aveva sorpreso e colpito profondamente per la magnificenza delle sue canzoni così profonde e passionali, capaci di andare oltre gli schemi del jazz, della darkwave, della musica classica, delle derive avanguardistiche e di quant’altro possa aver toccato l’animo artistico di questi straordinari ed eclettici musicisti. È con enorme piacere che li rincontriamo con l’EP “Private Violence” (edito ora su CD, ma già rilasciato in download nel giugno 2011), autentico tributo al libro di Truman Capote “A Sangue Freddo” splendidamente confezionato nel bel formato digifile apribile (completo di booklet), contenente cinque nuovi brani dal tasso qualitativo in linea con le altissime aspettative maturate. Incuranti di mode, pose o tendenze di sorta, Mali e soci proseguono per la loro strada con la consueta teatralità che anima la loro musica, intrecciando con rara maestria generi ed influenze per dar vita a momenti di una purezza unica e di una passionalità che in pochissimi riescono davvero ad esprimere senza lasciare alcuna riserva. Sinfonica e dolente, “Trouble” apre coi crismi di un ‘warm up’, con l’estro vocali di Mali che si esalta subito fra le fiammate che spezzano il piglio mesto; tutt’altro tenore per la seguente “Hostage Heart”, realizzata con un’intera orchestra di ben 11 elementi: un gioiello che si apre dolcemente col piano della Sastri, per poi rivelarsi in tutto il suo infinito pathos fra gli arrangiamenti sublimi di una costruzione entusiasmante. L’estro della band, che sia quello vocale di quella forza della Natura che è Mali o quello strumentale suo e dei suoi ispiratissimi colleghi, emerge con forza immane dall’istrionico jazz ‘breakkato’ di “No Sympathy”, song che è l’ennesimo emblematico esempio dell’eclettico talento di cui dispone questa incredibile band; non certo da meno “Oh My God”, che apre sofferta nelle note dettate dai tasti d’avorio per poi prendere vita con una grazia toccante e incantevole, prima di tingersi di favolose sfumature jazz-noir. “End Song” chiude la breve ma intensissima opera ancora all’insegna del piano di Mali, esprimendo tutta la dolcezza e la passione di cui questi magnifici artisti sono capaci. Non serve aggiungere altro, a parte forse ricordarvi che i Jaggery sono senza dubbio alcuno una delle cose più vere e appassionate che possiate mai ascoltare: esimersi dal farlo è volersi male.– Roberto Alessandro Filippozzi

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