by Roberto Alessandro Filippozzi
JAGGERY
“Crux”
Rating : 9
Avevamo lasciato la sensazionale band di Boston con lo splendido EP “Private Violence” di fine 2012, e dopo un live (“For The Record” del 2014, nato anche per finanziare i futuri progetti, visto che i Jaggery si autoproducono) ed un singolo digitale, ritroviamo Mali Sastri e soci con l’atteso terzo full-length – confezionato in un bel digipack a sei pannelli – di una storia ormai ultradecennale. Per descrivere il personalissimo sound del combo americano sono state scomodate le definizioni più fantasiose e trasversali (“inquieto pop da camera”, “avant rock”, darkwave jazz” etc.), ma il sublime intreccio fra piano, tastiere, basso/contrabbasso, viola, arpa, percussioni (ora i drummer in line-up sono ben due) e la cangiante vocalità di Mali continua a sfuggire a qualsivoglia catalogazione con un carisma ed una sicurezza dei propri mezzi a dir poco disarmanti. Coadiuvati per la superba produzione dall’esperto Jon Evans (già al lavoro con Tori Amos, Chris Cornell, Sarah MacLachlan etc.) e guidati dalla figura istrionica di un’artista che non conosce timore alcuno come Mali, i Nostri realizzano la loro opera più intensa ed appassionante, proseguendo su una strada sempre aperta alle più affascinanti e suggestive contaminazioni. Completamente libera da paletti di sorta o limitazioni autoimposte, la band mostra tutto l’estro tecnico e creativo di cui i suoi membri sono capaci in undici brani – alcuni dei quali nati in precedenti contesti artistici – che sono altrettanti gioielli, tutti splendenti di luce propria. La finezza, la classe, il carisma e l’eleganza con cui ogni strumento ‘ricama’ trame sottili è lì da toccare, ammalianti sfumature di suono intrecciate con maestria sulle quali un talento naturale come la Sastri – la cui abilità vocale trova ben pochi eguali nel panorama odierno – va letteralmente a nozze, tra innata teatralità e sentimenti profondi. L’audacia canora di un’opener come “War Cry” parla chiaro in merito ai contenuti di un’opera così intensa, capace di estasiante dolcezza (la soffusa “Garden”, la fascinosa “Icy”, la più poetica title-track) come di sensazioni forti (le geometrie jazzate della scura “Garden”, la drammatica passionalità di “Those Who”, l’inquieto intimismo della conclusiva “Nijinsky’s Diaries”), nonché di regalare una perla rara come “This Way That Way”, dove l’incontro fra jazz e cadenze chillout dà vita ad una vetta artistica memorabile. Un’altra magnifica conferma per una band unica ed emozionante, massimo esempio di come sia (quasi) sempre la scena indipendente a sfornare i talenti più fulgidi, sinceri ed entusiasmanti della musica contemporanea. Da non perdere.
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